giovedì 25 settembre 2014

Quaranta

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E così ci siamo. Tutto come prima, a dire il vero, tranne per il fatto che ora c'è Olivia. Come da tradizione (sai che tradizione, sarà appena qualche anno) mi sono tolto la soddisfazione di ringraziare uno per uno e con una risposta personalizzata tutti quelli che si sono presi la briga di farmi gli auguri, via Facebook e per SMS. In aggiunta a questo mi va di condividere con voi, in ordine assolutamente casuale, un piccolo elenco di cose che mi hanno allietato la giornata e che per la maggior parte di voi saranno assolutamente insignificanti, tranne per qualcuno che coglierà qua o là delle impercettibili allusioni a cose di grande importanza; persone con cui condivido qualcosa di particolare e che, immagino, sorrideranno. Grazie ancora a tutti degli auguri e via con l'elenco.
  • Ho acceso la mia pipa preferita, con una miscela di tre parti di Capstan, una di Samuel Gawith's Commonwealth e una di Rattray's High Society, a sua volta mescolata in parti uguali con trinciato Italia.
  • Ho fatto una bella passeggiata con Olivia passando per le stradine di Vaiana.
  • Ho pulito, puntellato, sarchiato e sistemato due file di pomodori che, con buona soddisfazione, hanno sempre frutti appesi e in via di maturazione
  • Ho iniziato un nuovo sketchbook che avevo rilegato qualche tempo fa
  • Ho fatto colazione coi budini di riso e ancora ringrazio Elena per averli presi
  • Ho stappato una birra
  • Ho scoperto la misteriosa identità degli "spinaci alti"
  • Ho ascoltato ancora la storia della vicina delle pulcette
  • Ho letto qualche pagina di Moby Dick
  • Ho lavato i piatti
  • Ho guardato Grand Budapest Hotel di Wes Anderson e mi dispiaccio di non averlo potuto vedere al cinema. Quel film è una meraviglia
  • Ho mangiato dell'ottimo gelato e bevuto un corretto sambuca al vetro
  • Ho cantato Mellow Yellow di Donovan
  • Ho suonato il mio Mahimahi
Probabilmente devo aver fatto anche qualcos'altro di piacevole ma purtroppo ormai sono anziano e la memoria vacilla. Spero mi perdonerete.
Ci sentiamo tra quarant'anni.

domenica 29 giugno 2014

Adieu.

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E' andata. Quando ti portano via una bici come la mia ti rubano un pezzetto di cuore.
Sono entrati di notte nel palazzo, probabilmente dal portoncino sul retro lasciato aperto; dà su un giardinetto che confina col piazzale di Jed il meccanico. Poi hanno portato via la bici mia e quella di Claudia, la vicina del piano di sopra. La settimana scorsa, a quanto pare, erano già entrati e avevano rubato la bici di un suo coinquilino ma io non sapevo nulla, quindi pensavo ingenuamente che tenerla in un andito col portone principale chiuso a chiave dall'interno fosse più che sufficiente.
Non è tanto il valore effettivo (che comunque immagino superi tranquillamente i millecinquecento euro) quanto quello affettivo, vista la storia della bici, le persone che mi ha fatto conoscere e la dedizione con cui ho recuperato un telaio gettato alla spazzatura facendolo rivivere come ogni bici come quella merita: in strada.
Dubito di rivederla, anche se un telaio come quello oltre a non passare inosservato è punzonato sul canotto reggisella con il nome dell'antico proprietario, DEL VIVO, in lettere maiuscole che sarebbe piuttosto difficile molare via senza distruggere il morsetto.
Spero vivamente che chi l'ha presa ci si spacchi la faccia, visto il pignone fisso e i pedali dentati con le gabbiette aperte. Ma se qualcuno di voi la vedesse in giro me lo faccia sapere; la denuncia l'ho fatta e identificarla sarebbe facilissimo. Gruppo Campagnolo Nuovo Record con corone anteriori da 49 e 44 (solo la 49 è usata), pignone posteriore fisso da 18, freno Miche anteriore, il resto si vede.
Non riesco nemmeno a incazzarmi.
Passerà.
Si vede che quel telaio era destinato a una vita avventurosa.
Addio, e buon viaggio.

giovedì 12 giugno 2014

La cartolina del secolo

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La cartolina del secolo me l'ha mandata Elke, dalla Germania. Incredibile a dirsi ma... è fatta a maglia! E' arrivata giusto ieri insieme ad altre tre provenienti dalla Florida, dall'Irlanda e dalla Repubblica Ceca. Happy mailbox!


venerdì 11 aprile 2014

Postcrossing favorites

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Ci sono disegni che mi piacciono molto e che preferirei non spedire. Di contro, sono proprio quei disegni che sembrano fatti apposta per una cartolina.
E' così che ho deciso di provare a stampare la scansione e sono rimasto stupefatto. La stampa è perfetta e in tutto e per tutto simile all'originale.
Credo che a questo punto spedirò gli originali solo per scambi con altri disegnatori. La prima vola a San Pietroburgo!

venerdì 4 aprile 2014

Orto 2014

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Primavera 2014. Questo è l'orto dopo l'inverno. Tra pochissimo nasce Olivia quindi bisogna che mi porti avanti col lavoro. E allora cinque file di patate sono già interrate, debitamente concimate con stallatico maturo e coperte di paglia ma al momento ero senza macchina fotografica quindi niente foto. Per ora sono a dimora le cipolle nuove, con cinque secchi di letame; l'insalata sotto la rete delle olive per non farla beccare malamente dai merli; L'origano selvatico trapiantato l'anno scorso è in forma smagliante; è pronto il semenzaio dei peperoncini e la veccia, che sotto vedete rigogliosa, è già stata sfalciata prima di interrarla e preparare il terreno per i pomodori che il cielo solo sa come farò a piantare, ad aprile.
Auguratemi buona fortuna!






venerdì 28 marzo 2014

Scoop

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L'indagine era doverosa, le voci circolavano da tempo ma eravamo ormai a un passo dalla verità. Matt aveva trovato la chiave. Era una sua specialità; scavare, cercare e analizzare finché non trovava l'informazione giusta, finché il meccanismo non si sbloccava permettendoci di entrare e fare il nostro lavoro. A quel punto ero io che memorizzavo ogni più insignificante particolare, che elaboravo la narrazione e trasformavo un'effrazione in una sottile dissezione della realtà rendendo inutile l'uso di registratori o appunti che del resto, in situazioni critiche, avrebbero potuto esserci sottratti o rivelare il nostro ruolo di reporter. Il palazzo governativo, a Roma, era un decadente edificio ottocentesco dalla curiosa pianta che si sviluppava su un angolo concavo, con gli stretti balconi che si sbriciolavano per l'incuria. Al quarto piano i corridoi erano tutti uguali e le porte indistinguibili l'una dall'altra se non per il numero d'ottone in rilievo come negli hotel di bassa categoria. Matt aveva ottenuto il numero. Era già un bel passo ma quello di cui avremmo avuto davvero bisogno era la chiave; non quella fisica, ovviamente, ma la chiave d'accesso. Perché le porte potevano essere violate, certo, ma nulla avremmo ottenuto se non fossimo anche riusciti a dargliela a bere. Dovevamo lasciar intendere di essere parte del giro per ottenere informazioni da scoop. Le voci che giravano erano agghiaccianti; non era il solito giro di prostitute, il solito bordello governativo a cui i tabloid degli ultimi vent'anni ci avevano anche un po' abituati; qui si parlava di pratiche disgustose, estreme, gestite con meccanismi di massima riservatezza e codici lessicali a prova di intercettazione. In pratica dentro quelle stanze non si consumava ma si contrattava, si gestivano incontri e prestazioni recitando una parte. Non pensate a una roba alla "eyes wide shut", no. Questi erano molto più allucinati: ognuno partecipava alle contrattazioni come se si stesse trovando a una seduta collettiva di psicanalisi, raccontando agli altri ansie e desideri e mettendo in un cesto i contanti destinati al pagamento della prestazione. Un gruppo di storditi depressi con una bella collezione di perversioni e feticismi. Sarebbe stato un articolo fantastico e uno sputtanamento generale; almeno così speravamo.
La chiave era un proiettile. Un proiettile di mitragliatore. Bisognava bussare alla porta, a quella giusta, e fare il gesto di infilarsi il proiettile nel naso. Un gesto grottesco ma inequivocabile e impossibile da fare per puro caso. Il nostro proiettile ci fece aprire la porta. La psichiatra, una rossa incapace di sorridere, con lunghi capelli mossi ricadenti sulla schiena, ci fece entrare in un piccolo corridoio lungo la facciata su cui si aprivano tre grandi e luminose porte finestre da cui si vedeva mezza Roma. Ci fece cenno di entrare in una stanza all'estremità del corridoio e Matt si avviò; io ero solo l'accompagnatore e avrei atteso là, nell'ingresso, ovviamente origliando ed elaborando mentalmente i dati raccolti. Matt era perfetto per il ruolo; un po' perché l'aria del depresso ce l'aveva davvero pur non essendolo mai stato, un po' perché il social engineering era una delle sue specialità. L'obiettivo non era ribaltare il tavolo ma pescare all'amo; un aggancio, ci serviva un contatto, uno dei pesci psicologicamente più deboli che avremmo poi potuto incontrare fuori da quel palazzo, facendoci raccontare con molta più calma e senza complessi codici verbali la sordida verità. Io nel frattempo guardavo fuori e prendevo le mire come fanno i pescatori per ritrovare le zone pescose. Dalla finestra a cui mi trovavo potevo vedere la cupola in allineamento perfetto col palazzo del governo e ci sarebbe voluto un secondo poi per identificarla di nuovo dall'esterno e scattare qualche foto. Uscii sul balcone per prendere una boccata d'aria e godermi il sole della tarda mattinata. Un pezzetto di balcone si sbriciolò e volò giù per quattro piani, frantumandosi al suolo. Dopo un quarto d'ora Matt era di nuovo fuori; la rossa lo accompagnò alla porta e mi invitò a seguirlo visto che questi spazi erano riservati ai "pazienti" e aveva già fatto un'eccezione a permettermi di aspettare dentro. Ringraziammo con un sorriso ammiccante che non ricevette alcun ricambio. L'avevo detto: incapace di sorridere. Queste donne sono degli squali.

"Insomma l'hai agganciata."

"Sì. Una bionda. Un metro e ottantacinque, la classica modella in crisi bulimica e distrutta dal lavoro. Ci incontriamo per pranzo. Ovviamente ha capito benissimo di che si tratta, gliel'ho letto nello sguardo."

"Fantastico."

Ci aspettava all'angolo; nonostante nessuno avesse mai menzionato alcunché, i sottointesi sembravano urla, tanto erano eloquenti. Quella gente aveva perversioni disgustose e riusciva a gestirne il mercato non con degli eufemismi ma addirittura parlando d'altro. Nessuno nominava mai niente. Lei non era una cliente ma una... beh, un'erogatrice di servizi. Ecco, io dovevo usarli i giri di parole.
Sapeva sorridere e ci accolse senza il minimo imbarazzo.

"Matt mi ha detto che siete interessati a quello che faccio, che volete saperne di più."

"E' così. Converrà anche lei che si tratta non solo di un argomento insolito ma anche di una gestione quantomeno curiosa di tutto l'affare."

"Certo, ma del resto come potremmo giustificare l'utilizzo di luoghi pubblici per scopi privati? Occorre arrangiarsi al giorno d'oggi, lei mi capisce vero?"

E si avviò lungo la strada. Io annotavo mentalmente ogni frase. Matt era con noi ma stavolta la scena era mia, l'intervista sapevo condurla meglio di chiunque altro. Potevo portarla ad ammettere cose che non avrebbe mai ammesso di fronte ad altri, probabilmente senza neanche accorgersene. Era manipolazione; forse un po' scorretta dal punto di vista deontologico ma giustificabile per un caso del genere. Squillò un cellulare. Era quello di Matt: un cliente fedifrago aveva urgentemente bisogno di recuperare qualcosa, non capii esattamente. Matt dovette lasciarci frettolosamente; ci salutammo e scappò di corsa.

"Possiamo andare sul posto di lavoro mentre parliamo, è giusto a un paio di isolati; così potrai vedermi anche all'opera."

"All'opera? Beh, francamente non me l'aspettavo ma se è lei a proporlo perché no?"

Sorrisi per nascondere l'inquietudine. A quanto pare nel suo boudoir non avremmo trovato un cliente: ne avremmo trovati otto! Li portava la servitù con grandi berline scure e li venivano a riprendere dopo l'ora di pranzo. Alcuni di loro, mi diceva, facevano tenerezza. Qualcuno neanche camminava e lei pareva entusiasta del proprio ruolo di dominatrice.
Che schifo. Immaginavo queste vecchie larve umane, forti della loro posizione economica e del loro ruolo di potere, approfittare di giovani e avvenenti ragazze per soddisfare le voglie malate di una vita meschina e giunta ormai a tre passi dalla fine.
Leggevo nel suo sguardo un'inquietante psicopatia tutta sorrisi e moine, come se in realtà qualcuno le avesse fatto il lavaggio del cervello e l'avesse convinta che prestarsi a fare quel genere di cose fosse la cosa più naturale del mondo. A quanto pare poi i guadagni erano eccellenti e anche questo in genere aiuta a buttare giù il boccone.
Nina, slovena ventiquattrenne, alta e non eccessivamente prosperosa, con un taglio corto di capelli dettato un po' dalla comodità e un po' dal desiderio di apparire meno infantile e debole di quel che era veramente, parlava con entusiasmo del suo ruolo.

"Quindi ogni mattina ne gestisci otto?"

"Beh non sono sempre sola, oggi è una giornata particolare; in genere siamo in tre, in questo modo possiamo organizzarci meglio e perché no, divertirci anche."

Divertirci. L'avevano plasmata perfettamente. Il colloquio andava avanti mentre ci avvicinavamo al portone. Decisi di andare un po' più a fondo. Ero passato velocemente anche io a un "tu" colloquiale e disinvolto; probabilmente anche questo faceva parte del suo mestiere, mettere a proprio agio i clienti ed eliminare le distanze.

"Dimmi, Nina, capita mai qualcosa di... ecco... fuori dall'ordinario?"

Non sapevo esattamente quanto essere esplicito ma pareva sveglia e disinibita quindi lasciai che fosse lei a guidare la conversazione.

"Dipende da cosa intendi. Quello che per te è fuori dall'ordinario - senza offesa, eh - per me potrebbe essere all'ordine del giorno. Non posso farti nomi per ovvie ragioni di riservatezza, comprenderai certo la situazione, ma posso dirti che alcuni di loro hanno solo una passione sfrenata per le coccole e ti confesso che a lungo andare diventa una noia. Altri però, un paio almeno, spesso me la fanno addosso; mi pisciano addosso senza la minima preoccupazione e sembra che ci godano alquanto. Uno, non soddisfatto di avermi cacato sul seno, si è anche divertito a spalmarla bene con i piedi..."

Ero già disgustato abbastanza e temevo la prosecuzione del colloquio. Eravamo di fronte al portone, un anonimo portone senza targhe né nomi sul campanello che comunque non funzionava da tempo.

"Potresti anche darmi una mano, se ti va" disse lei strizzandomi l'occhio mentre girava la chiave nella toppa.

Ingoiai la poca saliva che avevo in bocca mentre lei apriva la porta e mi precedeva nell'ingresso sfilandosi il cappotto. Appesi la giacca dopo aver richiuso il portone alle mie spalle mentre lei passava nella stanza accanto. Nell'aria si sentiva un odore molle e ovattato, latteo. Gemiti sommessi facevano da sottofondo mentre anche io varcavo la soglia ed entravo nella nursery. Otto bambini tra i tre mesi e i diciotto riempivano lo spazio. Giulia, la collega di Nina, sembrò sollevata dal vederla arrivare. Era in ritardo per l'appuntamento con l'avvocato. Salutò frettolosamente rivolgendo a me solo un sorriso e un cenno col capo, poi uscì in fretta e furia.

Ancora non riuscivo a riprendermi dallo shock. Nina aveva un bambino in braccio e stava togliendogli il pannolone.

"Sei tutto bagnato, vieni qui che ci andiamo a cambiare!" e rivolgendosi a me "Allora, che te ne pare? Carino qui no?"

A nessuno sarebbe interessato un articolo su un nido abusivo per figli illegittimi di politici e noti imprenditori. Non a fronte dell'aspettativa di una storia su perversi giri sado-maso nei palazzi governativi. Un bel giro d'affari, comunque, con l'esigenza di un elevato grado di riservatezza. Gli scandali oggi muovono più soldi del petrolio. Ci credo che quella gente va segretamente in analisi; anche io sarei distrutto con una famiglia che mi crede santo mentre tiro su un figlio che nemmeno sanno che esista.
E' tutto un inganno, non esiste la verità.

Le notizie girano.
Il problema, capii a mie spese, è quando girano troppo.

mercoledì 26 febbraio 2014

Posta!

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Oggi, per premiarmi di non so bene quale merito, nella cassetta della posta c'erano due cartoline.
Una viene dalla Germania e purtroppo era talmente piena di terra, sporco e acqua che si è rovinata non poco.
L'altra invece viene dal Lussemburgo ed è uno scambio con Bèliza Mendes. Incredibilmente ha disegnato per me una chitarra portoghese senza sapere che io la suonassi a mia volta! Spero che la mia cartolina arrivi presto.



giovedì 23 gennaio 2014

Creta. Un diario di viaggio. Terza parte

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03 - Paleochora

La mattina a colazione la radio passa "Felicità", di Al Bano e Romina. Sempre meglio di quel che sentimmo in Croazia al ristorante (era "La  famiglia dei Gobbon", per la cronaca) ma vabbè. Partiamo con destinazione Paleochora. La strada passa tra le montagne ed è la stessa che si percorrere per raggiungere Elafonissi; tuttavia noi vogliamo lasciarci questo boccone per gli ultimi giorni sull'isola e quindi ci ritroviamo a percorrerla insieme a qualche auto diretta proprio lì. Giunti poco prima di Topolia abbiamo la sorpresa: la strada è interrotta. Scopriremo solo più tardi che il tunnel di Topolia è crollato e quindi anche l'omonima gola, nota meta turistica, è tagliata fuori.


Poco male; il bivio ci fa passare dalla strada per Milia attraverso un paesaggio bellissimo e montuoso cosparso di timo, cardi spinosi e una gariga simile a quella del mio promontorio (quello di Piombino) nella morfologia anche se non non nella consistenza botanica.


La strada è davvero poco frequentata tanto che incontriamo dei polli che la attraversano e purtroppo anche un tasso, morto da tempo, che la dice lunga anche sulla qualità della guida cretese; comunque raggiungiamo Paleochora con facilità e ci sistemiamo nel peggior affittacamere di tutto il viaggio, con un bagno delle dimensioni di una lavastoviglie occupato centralmente da una colonna; comunque la stanza ha una bella vista sul mare e il golfo.


Lasciati i bagagli ce ne andiamo a pranzare verso Koundoura e dopo pranzo tentiamo un esperimento topografico: pare che ci sia una strada che da Paleochora raggiunge Elafonissi ma il problema consiste nel fatto che sulle carte stradali di Creta certe strade, in genere segnate in giallo, possono essere sia asfaltate che sterrate e l'unico modo per saperlo è percorrerle. Visto che abbiamo voglia di fare un giro affrontiamo quindi la strada fino a Sklavopoula, venti chilometri di curve, per scoprire nell'ordine che: a) Sklavopoula è in pratica un posto dimenticato dagli dei e costituito da circa tre case di cui una è il kafenion, uscito pari pari da un film di sessant'anni fa; b) L'unico essere vivente pare essere una capra; c) la strada che da Sklavopoula raggiunge Elafonissi è una mulattiera troppo stretta per essere percorsa da due veicoli affiancati che si snoda tra colline brulle per circa quindici chilometri e quindi costituisce una sfida fin troppo ardita anche per due come noi. La cosa sarà puntualmente smentita l'ultimo giorno quando invece ci spingeremo in un'impresa che vi lascio pregustare.

Torniamo quindi a Paleochora e ci godiamo un giro in paese. E' un posto carino, di villeggiatura, punteggiato di negozi e locali che però non danno l'impressione di macchina del turismo. Non è affatto difficile trovare un posto per mangiare ma abbiamo letto che seguendo il lungomare e allontanandosi dal centro si arriva da Methexis, ritenuto da molti il miglior ristorante del paese e in effetti qui mangeremo un ottimo kleftiko di coniglio e un buon agnello arrosto con patate; ci incamminiamo costeggiando i ristoranti quando lo sguardo di Elena incontra una faccia conosciuta; incredibile! E' Giulia, una ragazza toscana con cui Elena aveva chiacchierato a lungo all'aeroporto in attesa dell'imbarco e che gira Creta coi mezzi pubblici. Ci salutiamo e ci aggiorniamo sulla strada percorsa e i posti già visitati, poi è l'ora di cenare. La cena, come dicevo, non delude anche se dobbiamo prendere posto su una terrazza secondaria perché nel locale c'è una grande cena di matrimonio; tuttavia siamo sempre di fronte al mare e una spesa di diciotto euro in due non può che lasciare soddisfatti. E' ora di dormire, domani ci spostiamo verso est.

TIP: a Creta non gettate mai la carta igienica nel WC. In moltissimi bagni troverete un adesivo e una scritta a ricordarvelo ma anche dove non ci fosse noterete sempre una minuscola pattumiera accanto alla tazza. Non chiedetemi perché, non voglio immaginare quanto strette siano le tubazioni di scarico né dove e come scarichino, fatto sta che la carta sporca va nel cestino e se non vi piace l'idea (igienicissima eh?) di tenerla in bagno a profumare l'ambiente purtroppo questa è la triste realtà.

04 - Sougia

La colazione a Paleochora si fa al bar, visto che non c'è quasi nessuno e che ci sono dei fantastici tavoli in strada lungo il corso pedonale, neanche fossimo a Parigi. Tutto sommato Paleochora non è male se si ha in mente una vacanza di relax ma si sa, noi non ci riusciamo, quindi si parte per Sougia. Il vento soffia deciso e solleva la polvere; per strada, neanche a farlo apposta, si sentono i Kansas che suonano "Dust in the wind". La strada si inerpica per costoni boscosi, con scorci improvvisi e altrettanto improvvise brusche svolte; lungo il tragitto ci imbattiamo in un cartello che indica le rovine di Hyrtakina. Al nome non sembrerebbe una cosa troppo riposante ma sulla carta sembra brevissimo e le deviazioni ci sono sempre piaciute quindi, imboccata una stradina secondaria, arriviamo a una minuscola chiesetta ortodossa, Ieros Naos Christou Sotiros, dove ci fermiamo qualche minuto prima di affrontare una pessima strada sterrata e profondamente solcata che condurrebbe alle rovine.


Dico condurrebbe perché in meno di un chilometro ci ritroviamo la strada sbarrata di netto da una rete metallica per edilizia messa lì da un pastore che ha deciso di adibire la strada a recinto e magazzino. Ok, non è che abbia bloccato l'autostrada ma comunque si tratta di una strada pubblica! Fatto sta che le rovine di Hyrtakina non le vedremo mai.


Proseguiamo per Sougia dove arriviamo in breve tempo alloggiando di fronte alla passeggiata lungo il mare da un'affittacamere consigliata in diversi racconti di viaggio e con la quale occorre questionare un po' per il prezzo che, sì, è un po' fuori standard ma pur sempre molto basso. Ora non abbiamo che da comprare qualcosa da mangiare (qualche spanopita) al piccolo ma fornito negozio di alimentari e poi dirigerci lungo la spiaggia, ampia e lunga, per raggiungerne l'estremità orientale.


Da lì un brevissimo tratto tra gli scogli con l'acqua alla vita porta in una seconda cala assolutamente fantastica. Come in ogni parte dell'isola, i posti migliori sono i meno accessibili, i più frequentati da naturisti e anche i più tranquilli, ragion per cui se non avete problema a togliervi il costume (o anche no, visto che nessuno se ne farà un problema se voi preferite tenerlo) e condividere piccoli meravigliosi angoli con persone nude, è senz'altro e inequivocabilmente la scelta da fare. In questa seconda cala, sormontata da un'enorme roccia a pinna di squalo, l'acqua è cristallina, c'è un grande e alto scoglio dal quale tuffarsi e sotto al quale i pesci nuotano in abbondanza in un fondale di circa sei metri; è qui che mi accorgo per la prima volta di un fenomeno curioso. Per un attimo, appena immerso, credevo di avere gli occhialini appannati; per quanto li pulissi, però, la vista era sempre annebbiata e l'acqua piuttosto fresca. Come per magia però, scendendo appena di un metro sott'acqua, la visibilità tornava perfetta e la temperatura dell'acqua era più gradevole. Il fenomeno, l'avrei scoperto poi informandomi su Glyka Nera (di cui parlerò più avanti) è dovuto al fatto che la falda di acqua dolce e fredda sgorga direttamente al livello del mare. Quest'acqua, che dovrebbe scendere sul fondo per la temperatura, stenta a farlo per via della differente densità e si mescola a stento con l'acqua di mare generando, in superficie, un effetto simile a quello di quando sciogliamo dello zucchero in un bicchiere d'acqua. Per questo credevo di avere le traveggole immergendomi e per questo nuotare in superficie e vicino a riva è meno piacevole (per il freddo) che nuotare più al largo e immergendosi, proprio al contrario di quello che succede normalmente! Comunque il mare è splendido e dopo un pomeriggio in spiaggia torniamo in camera a cambiarci; poi, prima di cena, ce ne andiamo a goderci l'ultima luce alla chiesetta di Agia Irini, proprio sopra Sougia, all'esterno della quale c'è una piccola terrazza panoramica sulla costa.


Per cena, nonostante i suggerimenti di guide e diari, scegliamo una taverna un po' defilata, Polyfimos, che ha un grande spazio esterno coperto a pergola, e la scelta non avrebbe potuto essere più azzeccata; sulla voce di Eleni Tsaligopoulou mangiamo saganaki (formaggio fritto in pastella), koutsouvlatiko (maiale marinato arrostito) e costolette di agnello grigliate, prima di tornare a goderci il nostro letto.

TIP:  Facendo colazione al bar potreste scoprire che se una cena per due costa diciotto euro, una banale colazione (toast + caffè) ne costa quasi dieci. E' così ovunque. Quindi quando cercate un alloggio è meglio se ha la colazione inclusa, altrimenti le spese lievitano non poco. L'alternativa è evitare la colazione al bar e prendere qualcosa in un forno.

martedì 7 gennaio 2014

PROSECCO BASIC

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10 OPEN PROSECCO$
20 DRINK PROSECCO$
30 IF PROSECCO$ > 0 THEN
40 GOTO 20
50 GOTO 10